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Tra continuità e nuove sfide: come si articola la politica estera italiana nel Mediterraneo orientale

By: Matteo Colombo, Valerio Vignoli

Traduzione a cura di: Ahmed Bakie

L’orientamento tradizionale della politica estera italiana nel Mediterraneo costituisce l’elemento base per la continuità. Quest’orientamento tradizionale racchiude l’attuale punto di vista, rende e chiarisce l’attuale posizione dell’Italia sulla crisi nel Mediterraneo orientale tra la Turchia e i suoi vicini, più precisamente la Grecia, Cipro e l’Egitto. Una crisi complicata che si concentra sulla delimitazione delle Zone di Esclusiva Economica (ZEE).

I principali capisaldi della politica estera italiana nel cosiddetto “Mediterraneo allargato” tengono conto del quadro più completo dei nostri interessi nell’area, e spiega le preferenze dell’Italia nel tema della politica estera del nostro paese. Per avere idee più chiare bisogna applicare tale quadro per interpretare la posizione italiana nell’attuale crisi del Mediterraneo orientale.

La politica estera italiana si è mossa, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale al crocevia fra diversi cerchi principali:

Il primo cerchio attraversa l’Oceano Atlantico e collega l’Italia con gli Stati Uniti. Generato da preoccupazioni per la sicurezza reciproca nel contesto della Guerra Fredda, il nostro rapporto con Washington si è rivelato inscindibile anche in seguito, ma non senza incidenti diplomatici occasionali secondo il colore del governo al potere in Roma;

Il secondo cerchio ha la forma dell’Europa e dei paesi che la compongono. L’Italia è stata uno dei membri fondatori dell’istituzione che ora si chiama Unione Europea. Per lungo tempo i centri decisionali della politica estera italiana hanno sostenuto con entusiasmo tutte le iniziative volte ad approfondire e ad ampliare il progetto d’integrazione europea;

Il terzo cerchio abbraccia il Mar Mediterraneo, guardando al Nord Africa e al Medio Oriente. L’Italia condivide con i paesi situati in quest’area profondi legami storici e culturali, risalenti alla Magna Grecia e all’Impero Romano.

Tuttavia, a partire dalla seconda metà del XX secolo, i legami dell’Italia con questi paesi sono stati in gran parte modellati da interessi economici di entrambe le parti. Da un lato, paesi come Libia, Algeria ed Egitto forniscono all’Italia l’approvvigionamento energetico fondamentale di cui ha bisogno. Dall’altro, questi stati mediterranei hanno potuto avvantaggiarsi della competenza delle imprese italiane nell’estrarre le proprie risorse e nella costruzione di infrastrutture. L’Italia ha visto in questo cerchio un’opportunità per costruire una politica estera veramente autonoma, presentandosi come un ponte tra l’Occidente da un lato, il Nord Africa e il Medio Oriente dall’altro.

Comunque, questi seri tentativi di elevare il profilo dell’Italia all’interno della comunità internazionale hanno portato risultati limitati per una serie di ragioni: un chiaro divario tra obiettivi e capacità, sfortunati errori diplomatici e costanti divisioni politiche interne. Un esempio calzante è il cosiddetto Neo-atlantismo, la politica di riavvicinamento verso l’Iran e gli altri Paesi del Medio Oriente immaginata negli anni Sessanta da Amintore Fanfani, allora primo ministro, ed Enrico Mattei, all’epoca presidente dell’azienda statale dell’energia (Ente Nazionali Idrocarburi-ENI).

Il perseguimento dei legittimi obiettivi da parte dell’Italia all’interno del cerchio mediterraneo si scontrava occasionalmente con gli interessi e le strategie di potenze più forti negli altri cerchi. In tali circostanze, i politici italiani di solito preferivano cambiare quasi radicalmente la loro strategia piuttosto che deteriorare il rapporto “speciale” dell’Italia con gli Stati Uniti o peggiorare la sua posizione all’interno d’istituzioni multilaterali come la NATO e l’UE. In altre parole, la politica estera italiana in Nord Africa e Medio Oriente ha dovuto navigare all’interno del margine di manovra, molto stretto, lasciato dalla comunità internazionale: una volta che il margine si restringe, indipendentemente dai motivi, l’Italia torna indietro e abbandona le proprie aspirazioni. È esattamente quello che è successo nel 2011 quando un’alleanza guidata da Stati Uniti, Francia e Regno Unito ha lanciato un intervento militare contro il regime di Muammar Gheddafi in Libia, ex colonia italiana. Nonostante lo scetticismo diffuso a Washington, a partire dagli anni Ottanta i successivi governi italiani avevano compiuto enormi sforzi per migliorare il rapporto con Gheddafi. In questo periodo ENI è emersa come la principale compagnia energetica della Libia, come in seguito dimostrato dall’apertura del gasdotto Greenstream nel 2004, che collega i giacimenti di gas libici all’Italia. Il Trattato di amicizia del 2008, firmato dall’allora Primo Ministro Silvio Berlusconi a Bengasi, è stato il punto culminante di questa strategia e ha fornito notevoli guadagni in termini di sicurezza (limiti all’afflusso di migranti) ed economici (fornitura di energia e contratti per molte aziende). Tuttavia, ciò non ha impedito all’Italia e allo stesso Berlusconi di abbandonare Gheddafi, anche se a malincuore, e contribuendo in modo sostanziale alla realizzazione di una no-fly zone.

I modelli individuati nelle precedenti decisioni di politica estera italiana ci aiutano a comprendere meglio l’attuale posizione italiana nel Mediterraneo orientale. Analogamente al passato, i responsabili della politica estera in Italia tendono a promuovere le relazioni bilaterali con gli altri stati della regione al fine di favorire le opportunità economiche. Inoltre, il principale obiettivo politico di Roma è ancora quello di prevenire l’escalation delle crisi regionali, di preservare i propri interessi nell’area. Ne consegue che nello scenario attuale la politica italiana può ancora essere definita reattiva piuttosto che proattiva. In altre parole, l’Italia punta a sfruttare i propri interessi nelle condizioni date piuttosto che cercare di cambiare tali condizioni. È quindi improbabile che l’Italia prenda iniziative unilaterali nell’area nei confronti degli Stati coinvolti nella crisi.

Quando si guarda all’obiettivo di mantenere relazioni bilaterali positive per favorire la cooperazione economica, si dovrebbe osservare che tutti gli Stati coinvolti nella crisi sono centrali per gli interessi di Roma. Da un lato, gli ultimi dati disponibili della Banca Mondiale mostrano che l’Italia è un partner commerciale chiave di Cipro, Grecia ed Egitto, che rappresentano per l’Itali insieme ben 15,27 miliardi di dollari del valore commerciale estero. L’Italia, inoltre, punta a diversificare le proprie fonti energetiche grazie alla cooperazione bilaterale con questi tre Stati. Più specificamente, l’ENI opera attualmente nella ZEE egiziana e cipriota. L’azienda energetica italiana detiene una partecipazione del 50% in Zohr (Giacimento gas egiziano, il principale giacimento di gas dell’area) oltre 850 miliardi di metri cubi e partecipa ad altri contributi energetici all’interno della ZEE dell’Egitto. Inoltre, ENI possiede il 50% della SEGAS Holding, proprietaria degli impianti GNL di Damietta in Egitto. Questa infrastruttura egiziana sarà fondamentale per esportare eventualmente il gas del Mediterraneo orientale verso i mercati europei e asiatici. L’ENI possiede anche il 50% del giacimento di gas Calypso a Cipro e sta conducendo esplorazioni nella ZEE di questo paese. Dall’altro, l’Italia è il quarto partner commerciale della Turchia (19,72 miliardi di dollari) che, in termini di valore commerciale, rappresenta da sola più dei tre stati sopra indicati insieme. Inoltre, l’Italia ha interesse a mantenere i propri vantaggi nel mercato energetico della Libia, poiché l’ENI controlla circa il 45% della produzione libica di petrolio e gas. Nello specifico, l’Italia vuole mantenere un rapporto positivo con il Governo di Accordo Nazionale (GNA): l’amministrazione di Tripoli, che attualmente controlla l’ovest del Paese. Tra le altre ragioni per sostenere il GNA, vale la pena ricordare che i giacimenti ENI si trovano principalmente nella parte occidentale del paese e che il GNA riconosciuto dall’ONU può vendere idrocarburi sul mercato globale, a differenza della sua controparte orientale.

Per ricapitolare i politici italiani probabilmente considerano la prevenzione di un’escalation nel Mediterraneo orientale come la migliore scelta politica del paese. Quest’approccio alla crisi si adatta bene anche alla tradizionale percezione di sé italiana come potenza di mezzo, il che significa che Roma crede di non poter prendere l’iniziativa politica nel Mediterraneo orientale senza gli Stati Uniti o gli altri stati dell’UE. Roma è ben consapevole che gli Usa non vogliono un’escalation della crisi tra due membri della NATO (Grecia e Turchia) e quindi adatta la sua politica alle condizioni date invece di lavorare per cambiarle, ad esempio promuovendo un’iniziativa per contenere Ankara. Nondimeno, l’analisi delle decisioni prese nel passato pone l’accento anche che sarebbe sbagliato concludere che l’Italia non si schiererà nell’improbabile scenario di un’escalation della crisi. Roma spesso avvantaggia le sue relazioni con gli Stati membri dell’UE rispetto alle relazioni bilaterali con gli Stati non membri dell’UE, come mostra chiaramente l’esempio dell’intervento militare in Libia del 2011. Ne consegue che l’Italia probabilmente seguirà i principali stati dell’UE e gli Stati Uniti nel caso in cui attuino un cambiamento efficace nella loro politica nei confronti della Turchia.

Ahmad BAKIE | scrittore e traduttore siriano che vive in Italia

18 Comments

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